testo di: Stelvio Coggiatti, ‘ROSE DI IERI E DI OGGI’, Milano, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., 1986
REMOTE ORIGINI
Con larga approssimazione, la presenza della razza umana sulla terra si fa risalire а circa quattrocentomila anni fa; ebbene, reperti fossili rinvenuti in Giappone, negli Stati Uniti, in Francia, in Germania e in Cecoslovacchia permettono di moltiplicare per cento tale cifra se trasferiamo l’indagine all’esistenza della rosa. E tuttavia doveroso precisare che, fino ad oggi, nessuno di quei fossili presenta l’impronta dei petali; tuttavia, quei reperti raffigurano foglie complete, singole foglioline, rametti con aculei appartenenti al genere Rosa.
Molti commentatori concordano nel presumere che le rose di epoche preistoriche, al pari delle rose botaniche di oggi, avessero fiori semplici, cioè con cinque petali. L’unica rosa nota per avere corolle di quattro petali soltanto fu introdotta in Europa dall’Himalaya alla fine del secolo scorso: si tratta della Rosa sericea. Tale particolarità si trasferisce anche in talune sue varietà tra queste la Rosa sericea pteracantha ammirata anche per i decorativi, ampi aculei appiattiti, quasi un baluardo rosso che, nei giovani rami, appare traslucido e di consistenza vitrea.
Altra rilevante particolarità si ritrova nel netto confine dell’area di diffusione del genere Rosa, ristretto esclusivamente in adatte zone dell’emisfero settentrionale; conseguentemente, ne deriva la totale assenza di rosai allo stato spontaneo nell’emisfero meridionale.
Dopo la datazione, grazie ai reperti fossili, della remota origine della rosa, trascorrono milioni e milioni di anni senza ulteriori testimonianze sull’argomento.
Finalmente, nel coso degli scavi intrapresi da Sir Arthur Evans а Cnosso (Creta), la dove sorgeva il famoso palazzo reale di Minosse (2000 anni circa a.C.) prima lesionato da un terremoto, poi completamente distrutto da un furioso incendio, sono tornati alla luce frammenti di pregevoli affreschi di soggetto naturalistico. I visitatori del Museo di Heraklion а Creta dove sono conservati i reperti, restano ammirati di fronte alla forza espressiva di un “uccello blu” che ha dato il nome all’intero affresco e dai fiori che gli fanno contorno (gigli, iris, crochi) е, in particolare, da alcune rose: si tratta della più antica raffigurazione esistente di questo fiore, ovviamente anteriore al XV secolo а.С., epoca del devastante incendio. La scoperta ha suscitato comprensibile interesse tra botanici e rosaisti che hanno anche tentato di stabilire la specie di appartenenza arrivando, per esclusioni successive, all’attuale Rosa gallica cioè la Rosa milesia, oppure la Rosa praenestina о, forse, la Rosa rubra dei romani. ( )
L’anomala presenza dei sei petali su una delle rose di Сnosso е stata autorevolmente attribuita а una personale iniziativa dell’artista che, in tempi lontani, aveva effettuato un restauro; un’altra ipotesi suggerisce che quel fiore con sei petali raffiguri la prima fase di una trasformazione in atto della corolla da semplice а doppia, trasformazione della quale e stata effettivamente protagonista in qualche caso la Rosa gallica.
Da Omero (llliade, XXIII) sappiamo che il corpo di Ettore prima della sepoltura venne unto con balsami di rose; tale riferimento è per noi valida testimonianza che durante la guerra di Troia (1200 а.С.) esistevano coltivazioni in grado di fornire grande quantità di petali; analoga deduzione e fornita da reperti che provano l’esistenza, in quella stessa epoca, di tavolette di terracotta utilizzate come ricevute per l’acquisto di olio di rose destinato al palazzo di Nestore а Pilo nel Peloponneso.
Trascorrono ancora cinque secoli е nasce la fortunata espressione poetica ancora oggi largamente condivisa: “Se Giove vorrà dare una regina ai fiori, è la rosa che avrà la corona”; frase а noi nota non direttamente, ma perché altri poeti dell’antichità l’attribuirono а Saffo. Ecco l’imprevedibile citazione di Erodoto di Alicarnasso, “il padre degli storici” (V secolo а.С.), il quale accenna alla presenza, nel giardino del re Mida, di “rose con sessanta petali dal profumo più gradevole di ogni altra rosa”. Un tentativo di identificazione fa ritenere che si tratti della Rosa gallica in una varietà stradoppia.
È con il greco Teofrasto, “il padre della botanica”, che abbiamo altri ragguagli; eccone qualche esempio: “le rose differiscono molto tra loro per il numero dei petali, per la scabrosità dei rami, per la bellezza del colore e soavità del profumo. Molte hanno cinque petali altre dodici о venti, alcune molti di più, ci sono perfino quelle che vengono chiamate ‘centifolia’ (latino folia = sia petalo che foglia)… Generalmente il terreno influisce sul loro colore e sul profumo; le rose più profumate sono quelle di Cirene”.
Dioscoride, medico greco del I° secolo d.C., che tanto ha contribuito alla diffusione della cultura naturalistica con la sua Materia medica, cita la rosa per esaltarne le virtù rinfrescanti e astringenti dei petali. Cenni sulle rose si trovano nelle opere degli autori romani che si sono dedicati alla divulgazione dell’agricoltura (Varrone, Columella, Rutilio Palladio, Gargilio Marziale) ma, più di ogni altro, di Plinio il Vecchio che riserva alle rose gran parte del XXI libro della sua poderosa Historia Naturalis in 37 volumi. Plinio descrive almeno otto varietà, ma da loro quasi sempre il nome del luogo dove esse venivano coltivate (Campana, Praenestina, Milesia, есс.) cosicché è possibile che il numero reale delle specie sia effettivamente più esiguo.
Non mancano motivate riserve sull’attribuzione ad antichi rosai di denominazioni botaniche attuali. Infatti, i pur valentissimi grecisti e latinisti che da secoli si dedicano alla traduzione dei testi agronomici, hanno spesso incontrato serie difficolta per identificare le piante attraverso espressioni spesso generiche degli autori antichi е, ancor più, per determinare la specie о la varietà in conformità alla classificazione moderna. Coscienti del rischio di incorrere in erronee denominazioni, spesso i traduttori si sono rivolti per un parere а botanici о а tecnici agricoli; in qualche caso tale affiancamento ha dato buon esito, ma spesso ne sono derivate interpretazioni difformi in quanto l’agronomo quasi sempre doveva basarsi non sull’originario testo greco о latino bensì su un testo già tradotto.
Е comunque accertata la presenza in epoca romana delle seguenti rose: tra quelle con fiori semplici la Rosa canina, tra quelle con fiori anche doppi la Rosa gallica, la Rosa aIba, la Rosa damascena (malgrado il nome, non esistono prove che Damasco ne sia la patria) е una cosiddetta Rosa centifolia della quale e opportuno precisare la duplice esistenza. Infatti si ha motivo di ritenere che le rose con sessanta e cento petali citate da Erodoto, da Teofrasto e da Plinio possano riconoscersi in una qualche varietà con fiori stradoppi di Rosa gallica, ma un’altra tesi sostiene che esse siano appartenute ad una razza oggi scomparsa. La denominazione Rosa centifolia è riapparsa verso la fine del 1500 – applicata а una specie che i botanici definiscono ibrida – con l’aggiunta dell’aggettivo hollandica о batavica, benché esistano indicazioni per una presenza in quel tempo anche nella Francia meridionale. I suoi fiori opulenti vennero spesso raffigurati dai pittori fiamminghi e ci appaiono molto simili а quelli delle rare centifolie oggi coltivate.
Nella prima metà del secolo successivo venne segnalata in Olanda, in Inghilterra e in Francia un’interessante anomalia: in alcuni rosai le cinque partizioni del calice (sepali), il sottostante ricettacolo е una parte del peduncolo apparivano rivestiti da un tenero, fitto velluto vegetale (musco о borracina) che emanava un intenso, particolare profumo. L’interesse per le rose muscose (salvo rare eccezioni, tutte centifolia) creò una moda che si mantenne viva fino all’inizio di questo secolo e indusse alcuni rosaisti а costituire sempre nuove varietà.
Dopo un periodo di declino il risveglio di interesse per le rose antiche manifestatosi negli ultimi anni ha coinvolto anche le rose muscose specialmente verso varietà con muscosità ben evidente (per es.: Communis = ‘Common Moss’) о con attitudine alla rifiorenza (per es.: ‘Salet’). La Rosa centifolia ‘Cristata’ forse più nota con il nome varietale di ‘Chapeau de Napoleon’, per oltre un secolo e stata inclusa tra le muscose; si tratta invece di una distinta anomalia forse dovuta а mutazione; nel caso particolare, produce una caratteristica espansione foliaceo-crestata dei sepali: questi, prima dell’antesi, assumono un disegno che può evocare il tipico cappello napoleonico.
In epoca romana le rose ebbero una posizione di primo piano nella vita di ogni giorno: se ne facevano corone e ghirlande per i convitati а pranzi e festini importanti, venivano regalate alla donna amata o sparse sulle tombe, i
petali servivano per preparare la Patina de rosis (Torta di rose), mentre il rosaceum (olio rosato) aveva molteplici usi curativi e si beveva un vino profumato con petali di rosa. I rosai venivano coltivati anche in serre ante litteram e innaffiati con acqua tiepida per ottenere fiori anche in periodo invernale suscitando l’indignazione di Seneca contro “eos qui naturam invertunt“.
Dai secoli immediatamente successivi fino al tardo Medio Evo ritroviamo la rosa soprattutto in quelle isole di cultura, di scienza e di religione che furono i conventi, ma storici e cronisti offrono rari spunti sull’argomento. Nell’VIII secolo Carlo Magno emise un Capitulare de villis nel quale venivano elencate le piante che dovevano essere coltivate negli horti della corona e la rosa occupava il secondo posto (dopo i gigli); nel secolo successivo, il monaco Walafridus Strabus (Strabone) compose un poema nel quale esaltava la bellezza dei fiori e della rosa in particolare; tre secoli dopo, Sant’Alberto Magno, oggi patrono dei botanici, si rivela acuto osservatore della natura anche per le esatte descrizioni di diversi rosai е, in particolare, della Rosa alba.
Nel primo Roman de la Rose, manoscritto e alluminato agli inizi del XIII secolo, si racconta lo stato d’animo di un innamorato che tenta la conquista dell’amato bene nelle sembianze di una rosa; qui e trascritta la frase conclusiva dell’opera nell’ancora latineggiante francese del tempo: “Esplicit le livre de la rose où I’ars d’amor est toute enclose”.
In date imprecisate, i rosai da giardino presenti in epoca romana produssero varietà che suscitarono interesse di una più vasta cerchia di persone. Cosi la Rosa gallica, probabilmente per mutazione spontanea, produsse la prima rosa variegate (rossa con macchie bianche) ancora oggi coltivata e botanicamente denominate Rosa gallica versicolor ma forse più conosciuta con l’appellativo di ‘Rosa Mundi’; un’altra varietà ha avuto il nome ufficiale di Rosa gallica officinalis ‘officinalis‘ in quanto i suoi petali servivano per preparare confetture curative che diffusero in Europa la fama dei farmacisti della cittadina francese di Provins, promotori della fortunata iniziativa.
La Rosa damascena а sua volta dette la varietà ‘Trigintipetala’ che, pur non essendo la più profumata, è la rosa più estensivamente coltivata per l’estrazione dell’essenza nella vallata di Kazanlik in Bulgaria. Un’antichissima Rosa damascena d’incerta origine e la ‘Semperflorens’; l’appellativo è abbastanza enfatico poiché tutta la rifiorenza consiste in una ripresa di fioritura alla fine dell’estate. Tuttavia, anch’essa trova la sua giustificazione in un’epoca in cui gli altri rosai europei fiorivano esclusivamente in primavera. Alcuni secoli fa la Rosa damascena ha prodotto una mutazione oggi denominate botanicamente versicolor ma più conosciuta come ‘York and Lancaster’; infatti, sul bianco dei petali compaiono strisce rosse quasi а testimoniare la riconciliazione tra le due casate e la fine della guerra delle due rose: la rosa bianca emblema degli York e la rosa rossa dei Lancaster.
Probabilmente la più ammirata tra le numerose varietà di Rosa damascena e quella ottenuta nel 1832 dal curatore dei giardini del Lussemburgo a Parigi, Monsieur Hardy, е da lui dedicata alla moglie. La varietà ‘Madame Hardy’ con i suoi profumatissimi, candidi petali arricciati, simili а un succedersi di piccole onde spumeggianti che si rincorrono, è stata, per più di mezzo secolo (1832-1890), la più ammirata rosa bianca.
La Rosa alba costituisce con la Rosa gallica e la Rosa damascena la terna delle antiche rose da giardino; ancor oggi essa e presente nei roseti con alcune sue varietà caratterizzate da foglie verde glauco e fiori bianchi, talvolta velati di rosa о di giallo, molto profumati. Qualche nome: ‘Alba suaveolens’, ‘Alba maxima’, ‘Alba incarnate’, quest’ultima deve il perdurante gradimento forse anche agli appellativi popolari che le sono stati attribuiti rispettivamente nei paesi di lingua francese e in quelli di lingua inglese: ‘Cuisse de Nymphe’ (= Coscia di ninfa) е ‘Maiden Blush’ (= Rossore di fanciulla).
Nei primissimi anni del XIX secolo suscitò un notevole interesse un rosaio rifiorente con fiori di color rosso scarlatto; tutto lascia supporre che, sia la vivace colorazione rossa, sia il requisito della rifiorenza le derivassero da un esemplare di Rosa chinensis semperflorens, mentre la forma allungata dei cinorrodi (frutti) indica come altro genitore la Rosa damascena. L’insolito colore e la rifiorenza di questo rosaio attirarono l’attenzione della duchessa di Portland durante un suo soggiorno in Italia; ne portò con sè un esemplare al suo rientro in Inghilterra. Il rosaio prese alternativamente l’appellativo di Rosa paestana e di ‘Scarlet Four Seasons’ poi raggiunse la Francia (1807) dove Аndrè Dupont, giardiniere dell’imperatrice Josephine, volle ricordare con il nome ‘Duchesse de Portland’ l’attenta scopritrice. Per mutazione spontanea, о da suoi semi, furono ottenute una dozzina di varietà con fiori profumati e rifiorenza autunnale dando vita alla ‘razza Portland’ che, però, ebbe vita autonoma solo per alcuni decenni.
La rifiorenza, trasfusa nei rosai europei da quelli che via via giungevano dalla Cina, costituì lo strepitoso avvenimento floristico che sconvolse la tradizionale utilizzazione della regina dei fiori. Infatti, fin dagli ultimi anni del secolo XVIII erano cominciate ad affluire numerose varietà cinesi tutte con tale requisito e tutte discendenti da un’antica specie oggi latente denominata Rosa chinensis spontanea, tra queste, la semperflorens che, oltre la rifiorenza, possiede, com’è stato già accennato, la rara pregevole caratteristica dei petali di un color rosso brillante sconosciuto fino allora in Europa. Nel 1810 arrivarono in Inghilterra, provenendo da Canton, le prime varietà “а odore di tе”; si distinguevano anche per il peduncolo flessuoso dei fiori che avevano petali dalle tenui tinte pastello.
In quel tempo, l’impollinazione manuale era effettuata in maniera disordinata; comunque, la contemporanea disponibilità delle tradizionali specie nostrane e di quelle di origine asiatica costituì un incentivo per avvicinare, nelle coltivazioni, i rosai cinesi а quelli europei, utilizzarne poi i semi e produrre piante con caratteristiche combinate. Una più razionale pratica della fecondazione cominciò а essere attuata verso la metà del secolo XIX con la conseguente nascita dei primi ‘Ibridi di Rosa chinensis‘.
Intorno al 1817 erano arrivati in Francia due di tali ibridi; uno, con mazzi di piccoli fiori rosa chiaro, proveniva dagli Stati Uniti. Si chiamò Rosa noisettiana dal nome dei due fratelli Noisette, l’uno residente in America, l’altro in Francia; era probabilmente originata dall’incrocio tra Rosa moschata (con fioritura bianca sul finire dell’estate) е Rosa chinensis pallida (‘Old Blush’ = ‘Parson Pink China’ degli inglesi). L’altro ibrido proveniva dall’isola di Reunion allora denominate Ile Bourbon. I supposti genitori erano la Rosa damascena semperflorens е una non determinata varietà di Rosa chinensis. А ricordo dell’isola da cui aveva avuto origine, la razza che ne deriva fu denominata Borboniana; presentava fiori globosi, profumati е, al pari della razza Noisettiana, manifestava una discreta rifiorenza. I successivi incroci affievolirono i caratteri distintivi е, più tardi, queste varietà furono assorbite dai rosai ibridi di te.