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La rosa nei miti, nelle religioni, nelle leggende e nei simboli

da: Corrado Colafigli, Maurizio Saudelli, ‘Spigolando tra le Rose’, LASER Edizioni, 1999, Milano

La rosa è un simbolo veramente complesso, poiché racchiude in sé – più d’ogni altro fiore – significati tra loro totalmente contrastanti. È, infatti, ambivalente, potendo contemporaneamente significare perfezione celeste e passione terrena, tempo ed eternità, vita e morte, fecondità e verginità.

Secondo la superstizione popolare, molto diffusa soprattutto nel Medioevo, e che ha avuto una notevole influenza in molte leggende tipiche anche del nostro folclore, era il fiore che le streghe preferivano, in quanto ritenuto particolarmente idoneo a provocare il male, forse a causa della presenza sul suo stelo di molte spine; ma nel frattempo, era pure il fiore prediletto dalle fate, che se ne servivano spesso per recare felicità e benessere alle persone buone. In questa circostanza, così come in molte altre, la rosa sa concentrare significati in netto contrasto tra di loro, come odio ed amore, quasi che entrambi discendessero da un unico ceppo, o fossero due facce di una sola medaglia; a pensarci bene, non è poi tanto illogico, essendo entrambi dei sentimenti, delle passioni e queste, come sappiamo, non conoscono vie di mezzo. Nella vita umana, tanto per citare un esempio concreto, se un rapporto tra due persone termina in modo traumatico, non di rado all’amore e alla stima subentra in ambo le parti il disprezzo, l’odio, il rinfacciarsi reciproco di colpe e di difetti; e questi sono tanto più intensi e radicati quanto più forte era il legame affettivo che si è interrotto.

Tornando al nostro argomento, la rosa, possiamo affermare che questo fiore, forse anche per la sua struttura a forma rotonda (non dimentichiamo che in Occidente il cerchio era considerato sin dai tempi più antichi un modo per indicare la perfezione) è stato sempre reputato simbolo di completezza: rappresenta, infatti, la profondità del mistero della vita, la bellezza, la grazia, la felicità, ma anche la voluttà, la passione ed è perciò, spesso associato alla seduzione.

Essendo stato da sempre un fiore abbinato alle divinità femminili, esso è amore, vita, creazione, bellezza e verginità; la sua rapidità nell’appassire simboleggia, al contrario, morte e sofferenza, e le sue spine evocano, invece, il sangue ed il martirio.

Sempre per affinità al cerchio, ossia ad una cosa che non ha né inizio né fine, alla rosa si associa spesso un significato di sistematicità, di ciclicità.

Questo fenomeno, tuttavia, non si limita ad essere puramente periodico, ma presenta anche un suo progresso temporale, un suo divenire, un suo traslare nel tempo: come una ruota di bicicletta che, dopo un giro, ritorna sì nella posizione iniziale, ma in un luogo diverso da quello precedente.

La rosa è pertanto anche il simbolo del divenire e, per traslato, indica il perpetuarsi della vita umana da quella terrena verso un’altra dimensione a noi per il momento ignota, che i credenti chiamano aldilà e che trova il suo culmine, il suo compimento totale nella resurrezione.

Per questo motivo la rosa viene usata per raffigurare anche oltre alla vita eterna, la primavera che, se vogliamo, è un piccolo assaggio terrestre della resurrezione celeste che ci attenderà alla fine della nostra esistenza.

Tuttavia, anche chi non ha il dono della fede può facilmente riconoscere che tutta la nostra esistenza è continuamente attraversata da fasi cicliche: di alcune di loro – come ad esempio l’alternarsi delle stagioni – sappiamo la periodicità, ma di moltissime altre siamo all’oscuro.

Se, ad esempio, siamo malati o in condizioni critiche dovute a qualsivoglia causa, come possiamo determinare se e quando queste scompariranno per far di nuovo posto a periodi di gioia, di serenità, di ristabilimento della salute fisica? E, una volta raggiunto questo stato di benessere, non abbiamo forse paura che la ciclicità della nostra esistenza ci arrechi di nuovo momenti di disagio?

Comunque la si consideri, la nostra vita è composta da un alternarsi di cicli, e questo vale per ognuno di noi.

Nell’ambito dei fiori, per quanto detto prima, la rosa è quello che più d’ogni altro è in grado di rappresentare la periodicità degli avvenimenti umani che si svolgono nel corso della nostra vita. È inoltre simbolo di silenzio e di riservatezza: una rosa era infatti appesa o raffigurata, nelle sale di consiglio per indicare riserbo e discrezione.

Per questo motivo papa Adriano VI35 fece scolpire sui confessionali una rosa a cinque petali, simbolo del sacro vincolo della segretezza che ogni sacerdote deve mantenere nei riguardi dei penitenti che si rivolgono a lui nella confessione, e la locuzione latina “sub rosa” aveva appunto il significato di una cosa rivelata in assoluta segretezza e confidenza.

La rosa d’oro denota la perfezione.

La rosa rossa il desiderio, la passione, la gioia, la bellezza, il rapporto sessuale; è il fiore di Venere e il sangue di Adone36 e di Cristo.

La rosa bianca è il fiore della luce; simboleggia l’innocenza, la verginità, lo sviluppo spirituale, il fascino.

La rosa bianca e rossa insieme rappresentano l’unione di fuoco ed acqua, una specie di unione degli opposti, mentre quella azzurra è il simbolo dell’impossibile.

La rosa a quattro petali raffigura la divisione in altrettanti parti del cosmo (terra, acqua, fuoco e cielo), in altre parole gli elementi che nell’antichità alcuni filosofi37 consideravano primordiali e dai quali traeva origine tutto il creato. La rosa a cinque petali rappresenta invece il microcosmo.

La Rosa dei Venti è raffigurata sotto forma di un cerchio che racchiude una croce doppia indicante le quattro direzioni cardinali e quelle intermedie; in essa sono quindi presenti contemporaneamente i simboli del cerchio, del centro, della croce e dei raggi della ruota solare. Lo stesso concetto può estendersi anche al rosone.

La rosa nella tradizione e nella cultura cristiana

Vediamo ora che cosa questo fiore rappresenta simbolicamente per le principali religioni della terra, iniziando con quella cristiana. Nell’iconografia cristiana, questo fiore, per la sua bellezza e fragranza, viene adoperato per indicare il Paradiso. Inoltre la rosa bianca è sinonimo d’innocenza, di castità e di purezza e, per traslato, è uno dei modi in cui si rappresenta la Vergine Maria, anche se in alcuni racconti – non appartenenti però alla cultura occidentale – è uno dei modi con cui può essere raffigurata la morte.

Al contrario, la rosa rossa è il simbolo della carità che, se spinta fino ai limiti estremi, può anche portare al martirio. Non a caso, infatti, una leggenda d’ispirazione cristiana vuole che il suo colore rosso sia stato generato dal sangue di Cristo sulla Croce. Ha pertanto anche il significato simbolico delle piaghe del Cristo dalle quali sgorgò il Suo Sangue per la redenzione dell’umanità. Le rose di color rosato sono l’emblema del Bambino Gesù, mentre quelle gialle quello dei Re Magi.

Possiamo osservare che la rosa assume significati fortemente contrastanti: passione e morte, gloria e resurrezione, in altre parole la vita eterna.

Nella religione cristiana queste entità costituiscono tuttavia, pur nella loro palese contrapposizione, un’unità inscindibile: infatti, non si può ottenere la resurrezione se non passando per la morte e non si può raggiungere la gloria se non transitando attraverso la passione.

La rosa è, dunque, il fiore che più d’ogni altro si presta a rappresentare metaforicamente gli eventi cardini della religione cristiana. Viene anche usata per ricordare il Sacro Graal, ossia la Coppa che, secondo la tradizione, fu adoperata da Gesù Cristo durante l’Ultima Cena.

La Chiesa stessa è talvolta indicata nella Bibbia come Rosa di Sharon: le sue spine sono i peccati di cui essa si è macchiata nei secoli e, più in generale, quelli di tutti i credenti, mentre la rosa senza spine o Rosa Mistica è un altro titolo con il quale viene lodata la Vergine Maria, proprio per mettere in evidenza il Suo concepimento senza peccato originale (quindi senza spine).

La rosa d’oro – oltre alla perfezione ed all’incorruttibilità – è anche un simbolo del pontefice romano e quindi, per traslato, anche di Cristo, di Cui egli è il Vicario in terra. Papa Urbano II38– nel 1096, benedisse per la prima volta una Rosa d’Oro in occasione di una cerimonia, che si svolgeva fino a non molto tempo fa nella quarta domenica di Quaresima (detta per l’appunto Domenica delle Rose o Domenica Laetare), considerata una sosta di giubilo nel cammino della penitenza che conduce il popolo cristiano alla celebrazione della Pasqua. Il Papa benediceva un fiore finto fatto di materiale aureo e detto appunto Rosa d’Oro, per farne dono ora ad alcune autorità civili (come il Prefetto di Roma), ora a qualche principe cattolico in segno di predilezione. Come fecero Urbano V59 che la assegnò nel 1367 alla regina di Sicilia Giovanna, e Pio IX40, che nel 1867 la donò alla regina di Spagna Isabella II41.

Papa Pio XI42 infine, regalò la Rosa d’Oro all’allora regina d’Italia Elena di Savoia43, in occasione della firma del Concordato tra la Santa Sede e lo Stato Italiano. Prima dell’avvento del Cristianesimo, tra il mese di Maggio e quello di Luglio, si tenevano nell’antica Roma delle festività denominate Rosalie, e la Pentecoste, grazie anche alla sua collocazione indissolubilmente legata alla Pasqua, e quindi al periodo primaverile, prese in un certo senso il posto di queste ricorrenze pagane, così come avvenne anche per il Natale, per la cui celebrazione si scelse il 25 Dicembre, giorno nel quale si celebrava la festività del Sole Invitto.

Fino ad alcuni secoli orsono, in occasione della festa di Pentecoste, era costume far piovere sui fedeli, durante la celebrazione della Santa Messa, petali di rose e batuffoli di stoppia accesi, per ricordare che il manifestarsi dello Spirito Santo sugli apostoli avvenne attraverso la discesa di lingue di fuoco, simili appunto a petali di rose. Per tale ragione, la Pentecoste viene anche chiamata Pasqua delle Rose o Pasqua Rosata. Secondo il monaco Beda44 la tomba, dove Cristo fu collocato una volta deposto dalla croce, era dipinta di rosso e di bianco, dei due colori che, mescolati insieme, formano il rosa; anche in questo caso, come possiamo notare, c’è una perfetta commistione, una sintesi totale di due colori che rappresentano di per sé sentimenti opposti, contrastanti e la cui sintesi trova la sua più totale realizzazione proprio nel rosa, inteso sia come colore sia – in senso lato – come sostantivo.

La rosa appare negli stemmi con cui sono raffigurati alcuni Santi; tra questi ricordiamo:

S. Elisabetta d’Ungheria, S. Elisabetta del Portogallo, S. Angelo, S. Cecilia, S. Rosa da Lima e S. Rosa da Viterbo. 

Tra i Pontefici45 nei cui stemmi questo fiore è presente, anche se talvolta in modo stilizzato, rammentiamo: Urbano VI (29 Agosto 1261-2 Ottobre 1264), Nicolò III (25 Novembre 1277 – 22 Agosto 1280), Onorio IV (2 Aprile 1285 – 3 Aprile 1287), Clemente VI (1 Novembre 1342 – 6 Novembre 1352), Gregorio XI (30 Dicembre 1370 – 27 Marzo 1378), Benedetto XIII (29 Maggio 1724-21 Febbraio 1730).

Numerosi poi sono i luoghi di culto, per lo più dedicati alla Vergine Maria, nella cui denominazione è presente la rosa:

Madonna del Roseto – Solopoca (BN);

Madonna del Rosario – Roma;

Santa Maria della Rosa – Tuscania (VT);

Santa Rosa- Viterbo (VT);

Maria Santissima Rosa Mistica – Cormons (GO);

Madonna di Rosa – S.Vito al Tagliamento (PN);

Madonna delle Rose – Roselli (FR), Piglio (FR) e S. Alessandro (BG);

Madonna della Rosa – Ostra (AN) e Scarpizzolo (BS).

Tra le sante che portano questo nome, ricordiamo:

Santa Rosa da Viterbo, Santa Rosa da Lima e Santa Rosalia.

Santa Rosa (Viterbo 1233-1252).Viene commemorata il 4 Settembre. È la protettrice di Viterbo. Appartenne all’ordine terziario francescano. Combatté l’eresia dei Catari e, per questo motivo, fu esiliata dall’imperatore Federico II detto il Barbarossa: abbandonò momentaneamente la città per vivere a Soriano e, successivamente, a Vitorchiano, due piccole località nella zona.

In quest’ultima rimase miracolosamente illesa scampando ad un incendio. Da questo luogo spronò i suoi concittadini a resistere all’assedio della città da parte dell’imperatore. Rientrò a Viterbo solo dopo la morte del Barbarossa da lei predetta. Il suo corpo è seppellito a Viterbo, nel Santuario a lei dedicato; solo per 200 anni fu conservato presso la sua casa natale, vicino alla quale fu successivamente costruita la chiesa. Per motivi che finora la scienza non è stata in grado di spiegare, il suo corpo si conserva perfettamente mummificato. Ogni anno, il 3 Settembre, vigilia della sua festa, si svolge una processione particolare, durante la quale viene portata a spalle la cosiddetta “macchina di Santa Rosa”. Si tratta di una costruzione di cartapesta a forma di campanile, alta 27 metri, pesante 3 tonnellate, al cui interno vi è una nicchia contenente la statua della Santa. Tutto l’insieme viene portato a spalla da 90 persone, dette i Cavalieri di Santa Rosa.

La processione si svolge per tutto il paese e termina nella chiesa dedicata alla Santa, posta nella parte alta della città, l’ultimo tratto – in salita – viene effettuato di corsa.

Santa Rosa da Lima (Lima, Perù   1586 – 1617). Viene commemorata il 23 Agosto. E’ patrona del continente americano, del Perù, delle Indie e, ovviamente, della sua città natale Lima. Il suo vero nome fu Isabella Flores. Entrò nel terzo ordine domenicano e raggiunse altissimi livelli di misticismo, grazie anche alle dure penitenze cui si sottoponeva per le quali trovava ispirazione in Santa Caterina da Siena. Grazie a questi duri sacrifici, fu frequentemente soggetta ad estasi, durante le quali aveva la facoltà di dialogare direttamente con Cristo. Fu beatificata nel 1688 da papa Clemente IX e innalzata alla gloria degli altari solo 4 anni dopo da Clemente X: fu la prima fra i cattolici ad essere proclamata santa oltreoceano.

Santa Rosalia, nata probabilmente a Palermo verso gli inizi del XII secolo, e morta nei pressi della città nel 1160, ora patrona di Palermo e della Sicilia, fu di nobile origine. Viene festeggiata il 15 Luglio ed il 4 Settembre.

Di lei si hanno pochissime notizie di carattere storico. Il suo culto è diffuso anche in altre nazioni europee, tra cui la Spagna. Dopo un periodo vissuto nella corte siciliana, scelse la vita eremitica ritirandosi in una grotta nei pressi di Palermo.

Tra il 1624 e il 1625, in occasione del ritrovamento dei resti della Santa presso la spelonca dove aveva trascorso gran parte della sua esistenza, cessò l’epidemia di peste che stava colpendo la città siciliana. Per questo motivo in suo onore, il 15 Luglio, c’è l’usanza di celebrare una processione nella quale viene condotto per la città il Carro trionfale di Santa Rosalia.

La rosa nella tradizione e nella cultura islamica

Come nel mondo cattolico la rosa simboleggia il sangue del Cristo, così in quello islamico rappresenta il sangue di Maometto46, il suo profeta.

Nella Rosa di Baghdad41 il primo cerchio rappresenta la Legge, il secondo il Cammino, il terzo la Conoscenza e tutti e tre i cerchi insieme raffigurano la Verità ed il nome di Allah. Anche in questo caso vi sono molte analogie simboliche tra le due religioni monoteiste.

Sa’di (1184 circa – 1291 circa), mistico musulmano, fu uno dei più importanti poeti persiani; questo non è quasi sicuramente il suo nome reale, bensì il titolo con il quale venivano all’epoca chiamati i saggi ed i filosofi, e potrebbe essere l’analogo di Maestro, appellativo con il quale i cristiani chiamano talvolta Nostro Signore.

Sa’di nel roseto. Immagine tratta dal suo libro ‘Golestan’

Nell’opera da lui scritta “Il Roseto” – in lingua originale Golestàn – l’autore definisce il giardino delle rose come il luogo dove si raggiunge il grado più alto della contemplazione. Questa opera è molto nota nella letteratura persiana; la sua ricchezza di simbolismi e l’importanza che ebbe per la diffusione della cultura e della lingua musulmana nei secoli successivi, la rende paragonabile alla nostra Divina Commedia scritta neanche un secolo dopo.

È sostanzialmente un importante documento che illustra la vita politica, sociale e religiosa di quel periodo nel mondo persiano, nel quale sono descritti con minuziosa cura i personaggi dell’epoca, dai principi agli schiavi, dai dignitari di corte ai ladri.

In definitiva, uno spaccato della vita quotidiana, filtrata però attraverso l’occhio benevolo di un saggio che, avendo appunto visto e sperimentato di tutto nella sua esistenza, valuta quello che lo circonda con una certa indulgenza ed in maniera abbastanza bonaria.

Il carattere dello scrittore che traspare da quest’opera è quello di un uomo ricco di doti morali, che tende a giudicare con moltissima prudenza tutto ciò che succede intorno a lui, senza emanare giudizi severi ed inappellabili anche nei riguardi di coloro che agivano disonestamente, ma sforzandosi di trovare anche in loro del bene e dei valori morali. Sotto questo punto di vista si può affermare che fosse più che giustificato l’appellativo di saggio che gli fu unanimemente riconosciuto.

Nel mondo egiziano le rose erano fiori sacri alla divinità Iside, poiché rappresentavano l’amore puro del tutto liberato dall’aspetto carnale; ma è nel mondo greco-romano che il culto della rosa ha trovato maggiore sviluppo.

La rosa nella Grecia classica

Presso i Greci la divinità Aurora è spesso chiamata – tra gli altri da Mimnermo4, poeta lirico dell’antica Grecia, vissuto tra il VII ed il VI secolo a.C. ed Omero “La dea dalle dita di rosa” (rododaktulos), proprio perché associata al sorgere del sole. Saffo49, invece, dà questo attributo alla luna50. Limitandoci per questione di spazio e di tempo al solo campo della lirica, notiamo frequenti riferimenti alla rosa da parte di poeti e di lirici appartenenti a varie epoche e di stili letterari diversi: dai bellicosi Omero, Mimnermo ed Alceo51 ai più idilliaci Ibico52, Teocrito53 ed Asclepiade54, poeta esaltatore dell’amore55.

Secondo Anacreonte le rose sono profumo per gli dei e gioia per gli uomini.

Nessun poeta greco, tuttavia, amò questo fiore più di Saffo; la quale predilige più d’ogni altro tutto ciò che è delicato, e paragona a questo fiore la bellezza delle fanciulle56. Costei, inoltre, intitola “Le rose della Pieria” una sua composizione, volendo con questo identificare l’intera sua poesia con il suo fiore prediletto. Presso gli antichi Greci, la rosa è il simbolo della gioia, della bellezza, dell’amore e del desiderio; era il simbolo della dea Afrodite57, veniva coltivata nei giardini funerari ed era spesso ornamento di tombe, per garantire al defunto il raggiungimento dell’immortalità nell’altra vita.

Corone di rose adornavano poi le statue del dio Dioniso ed erano anche al collo delle sue scatenate seguaci, le Baccanti. Dioniso era, fra l’altro, il dio del vino e ghirlande di rose cingevano coloro che partecipavano ai banchetti in onore di questa divinità, proprio perché si credeva che tale fiore era in grado di tenere lontano gli effetti negativi – come ad esempio il mal di testa – che un abuso di questa bevanda poteva provocare, od anche perché si riteneva che aiutasse le persone ubriache (molto comuni tra i seguaci di questa divinità) a non rivelare i segreti di cui erano a conoscenza e che sotto l’influsso della ebbrezza avrebbero potuto esternare.

Fu molto probabilmente anche per questo motivo, che la rosa è poi diventata simbolo della riservatezza.

Con la rosa erano poi raffigurati il dio Helios58 e le Muse59 oltre alla già citata Eos, dea dell’aurora.

 

La rosa nella Roma latina

Anche presso gli antichi Romani la rosa rivestì una notevole importanza; così come presso i Greci, era uno dei fiori con il quale venivano adornate le tombe.

Ciò avveniva principalmente in cerimonie chiamate Rosalia che avevano luogo, secondo la località in cui erano svolte, in un periodo compreso tra il mese di Maggio e quello di Luglio; in questi riti si offrivano delle rose ai Mani, le anime dei defunti ritenute divinità protettrici del focolare domestico. Anche la dea degli inferi, Beate, veniva talvolta raffigurata con una corona di rose sul capo.

Era poi consuetudine gettare petali di rose al passaggio dell’imperatore ed era fatta di rose la corona che egli portava sul suo capo. Il poeta latino Decimo Magno Ausonio60 associa alla rosa la fugacità della vita; in un suo idillio61 egli recita: “Uno sola giornata comprende la vita della rosa; essa in un solo attimo congiunge la giovinezza e la vecchiaia”, riprendendo il motivo del carpe diem oraziano ed anticipando temi che troveranno ampio spazio nel Rinascimento.

Anche molte iscrizioni funebri riprendono questo tema; ne sono state trovate alcune, deposte soprattutto per ricordare chi era defunto in età giovanile, con scritto: “Nacque e subito morì, proprio come una rosa”. Nel romanzo “L’Asino d’oro” di Lucio Apuleio62, la dea Iside63 promette a Lucio, trasformato da un maleficio in un asino, di farlo ridiventare uomo durante una processione dedicata alla dea, non appena costui avesse mangiato una corona di rose che il sacerdote di Iside gli avesse consegnato.

Si riteneva, quindi, che la rosa fosse dotata di poteri magici e che fosse alla base di ogni processo di rigenerazione che riguardava l’essere umano.

Questo è anche testimoniato dall’affinità del termine latino rosa con quello ros che sta ad indicare pioggia, rugiada, elementi indispensabili allo svilupparsi ed all’evolversi della vita sulla terra. A proposito di quanto ora detto, è abbastanza singolare che il nome rosa sia comune in quasi tutte le lingue europee, con piccole varianti: die Rose in tedesco; rose in francese, danese, inglese; rosa in spagnolo, italiano ed ancor prima in latino; roza in ungherese; ros in svedese; royz in yiddish64, solo per citarne qualcuna.

Trattandosi sia di lingue derivate dal latino che da altri ceppi, possiamo a ben ragione affermare che questo fiore abbia diritto di essere considerato un elemento unificatore del nostro continente. Nell’alchimia e nelle scienze magiche in genere, la rosa bianca e quella rossa sono ritenute gli elementi primordiali di cui si ritiene composta la materia esistente: la prima come sostanza “volatile” e la seconda come ingrediente “in combustione”. Secondo questa teoria, la pluralità delle forme della materia è da attribuirsi proprio ad un diverso rapporto tra le due sostanze base.

Simbologia della rosa

L’unione tra la rosa e la croce – oltre ad essere alla base della figura del rosone – è il simbolo dei Rosacroce, setta di impronta evangelica che nacque in Germania nel XVII secolo, per diffondersi successivamente in Francia. Il loro nome deriva da un adepto della setta, il cavaliere tedesco Kristian Rosenkreuz, vissuto nel secolo XV, la cui tomba venne scoperta in Marocco. I “Rosacrociani”, che si vantavano di predire l’avvenire e di poter guarire malati incurabili, avevano per simbolo una rosa a cinque petali posta al centro di una croce.

Simbolo dei Rosacrociani

Questo emblema ricalca, peraltro, quello di Martin Lutero65 .Nel mondo della massoneria la rosa riveste un’importanza fondamentale; durante il funerale di un “fratello” è, infatti, costume gettare nella tomba tre rose di colore diverso, dette Rose di San Giovanni che significano amore, luce e vita. Il 24 Giugno, giorno della festività di San Giovanni è consuetudine decorare gli interni di ogni loggia massonica con tre rose di diverso colore. Anticamente i Germani eseguivano in onore della divinità Ziu (l’equivalente del dio Marte) la “Danza della spada”, nella quale veniva simulato un combattimento tra giovani ballerini. Costoro, al termine della danza, univano le punte delle loro spade in modo da formare una rosa, e portavano in trionfo il corifeo, ossia colui che aveva guidato il ballo propiziatorio.

Sempre nella cultura tedesca – soprattutto nella poesia popolare – la frase Im Rosengarten sein” (Essere nel Giardino delle rose) ha un doppio ed opposto significato, uno dei quali indica l’amore casto e puro, l’altro, invece l’amore in senso passionale, biblico, che deriva da un rapporto carnale: un altro esempio della dualità che questo fiore è capace di concentrare in sé.

Nel mondo cinese la rosa non riveste quella importanza simbolica che ha invece nelle nostre latitudini; essa viene il più delle volte associata alla gioventù, in ogni caso mai all’amore. Nel campo dell’araldica le rose sono di solito raffigurate in maniera stilizzata, con cinque, sei oppure otto petali. Tra gli emblemi dove questo fiore viene raffigurato, ricordiamo quelli già citati delle casate dei Lancaster (rosa rossa) e degli York (rosa bianca) , dei Tudor (rosa con petali bianchi striata di rosso), dei principi tedeschi di Lippe, dei conti di Altenburg. Infine, tra le città nei cui stemmi appare questo fiore, ricordiamo quella inglese di “Southampton” (una rosa rossa e due bianche), e quella tedesca di Lipstadt.

Stemmi della rosa Lancaster, York, Tudor e Lippe

Per chi ancora oggi credeall’influsso dello zodiaco sulla vita degli esseri umani, l’abbinamento con la rosa è molto importante per i natinel segno del Toro, ed è inoltre il profumo magico per gli appartenenti alla terza decade del segno. Questo fiore, infatti, tenderebbe a moderare l’impulsività affettiva e la sensualità, ed a favorire la concentrazione mentale, impedendo alla persona di correre eccessivi rischi di isolamento; garantirebbe, sempre per i nativi di questo segno, effetti rigeneranti ed allontanerebbe da loro le ombre della stanchezza66. La rosa ha poi un suo preciso significato nel linguaggio dei fiori; in un testo pubblicato in Germania nel 1899, possiamo trovare associati a questo fiore i seguenti significati:

Rosa bianca: “I suoi petali indicano la fortuna dell’amore eterno e puro, libero dalla passione terrena.”

Rosa gialla: “Il colore di questo fiore mi mette in guardia dallo sguardo invidioso dei tuoi occhi.” Rosa rossa: “Il pegno dell’amore fedele.”

Rosellina di macchia: “Chi è nato per una vita tranquilla è felice solo se vive nascosto.” Roselline bianche: “Si!” Roselline rosse: “No!”

Molte letterature associano la bellezza femminile che caratterizza la donna nella sua vita, ai vari tipi di rosa attualmente esistenti; la freschezza e la spontaneità della giovinezza richiamano immediatamente questo fiore: le ragazze crescono, si sviluppano e… sbocciano proprio come fanno le rose.

In un testo, alquanto frivolo, di autore ignoto, in modo invero un po’ ironico e poco rispettoso nei confronti del gentil sesso, viene prospettata un’esatta corrispondenza tra l’età di una ragazza e il relativo tipo di rosa: a sedici anni la fanciulla, un po’ acerba per via della sua ancora giovanissima età, è paragonabile ad una rosa canina, un po’ spinosa e non ancora recisa; intorno ai diciassette anni è un bocciolo di rosa muschiata, a diciotto è sempre una rosa muschiata ma aperta ed in grado di emanare un profumo molto intenso e soave; a diciannove è una rosa tea e, così conclude il brano, se rimane zitella diventa una Rosa ciarliera. Ovviamente certe considerazioni al giorno d’oggi (e forse anche quando sono state scritte) appaiono del tutto assurde, risibili e ne abbiamo fatto cenno, peraltro bonariamente, non certo per condividerne i contenuti.

 

La rosa nella favolistica

Dalla Rosa di macchia (detta anche Rosa canina) hanno tratto spunto diversi poeti e scrittori di vari tempi e luoghi per scrivere poesie e favole che hanno trovato fama pressoché universale. L’ispirazione è dovuta anche al particolare aspetto di questo fiore, che si presenta normalmente in forma di cespuglio molto fitto, spinoso, quasi impenetrabile; la bellezza di tale rosa, tuttavia, a differenza di quello che accade per altre varietà, scompare rapidamente una volta recisa dalla pianta. La più celebre di queste favole è “La bella addormentata nel bosco”, pubblicata nel 1696 dal romanziere francese Perrault67. In questa storia si racconta che, a causa di un maleficio, la protagonista, una giovane principessa, cade in un sonno profondo. Il castello dove lei si trova è protetto da intricatissimi cespugli di rose, con spine così pungenti che nessuno sarebbe stato in grado di oltrepassare, ad eccezione di chi avesse dimostrato sufficiente coraggio.

Dopo cento anni, un principe si cimentò in questa impresa e, accompagnato dalla sua scorta reale, si diresse deciso verso quell’altissimo mucchio di rovi. Questo si aprì al passaggio del cavaliere, per poi richiudersi immediatamente alle sue spalle, impedendo l’accesso ai suoi accompagnatori.

Dornröschen, acquerello di Henry Meynell Rheam (1899)

Il giovane, giunto nel castello, svegliò la principessa e sciolse dall’incantesimo tutti coloro che ne erano stati colpiti. A Perrault si ispirarono successivamente, in Germania, i fratelli Grimm, scrivendo, tra le altre, una storia conosciuta da noi con il nome di “Rosaspina”, titolo originale è “Dornröschen” (tradotto letteralmente: “piccola rosa con le spine”). Anche in questa favola, a causa di un sortilegio, la principessa, la cui bellezza è paragonabile a quella di una rosa in fiore, dorme all’interno di un castello impenetrabile, protetto da spinosissimi cespugli di rose.

Pure in questo caso ella attende un principe che sia in grado di liberarla; all’arrivo di costui, la siepe di rose si spalanca, consentendogli il passaggio, per richiudersi immediatamente dopo. La principale differenza tra la fiaba di Perrault e quella dei fratelli Grimm è nel fatto che, in quest’ultima, i vari tentativi precedentemente fatti da altri nobili erano stati vani poiché la siepe si sarebbe aperta solo dopo che erano trascorsi cento anni da quando si era verificato il maleficio, causato da un fuso che aveva punto la principessa.

Nella novella “La Bella e la Bestia”, è una semplice rosa che la bimba Belinda richiede a suo padre prima che costui inizi un lungo viaggio, mentre le due sorelle maggiori avevano preteso gioielli. È proprio per soddisfare il desiderio della figlia minore che il genitore, sulla via del ritorno, entra in un tetro palazzo al cui interno c’era un giardino pieno di rose e, certo di non essere visto, ne coglie un bocciolo provocando così l’ira della creatura mostruosa che viveva in quella dimora. E forse non è un caso che l’unica persona ad apprezzare le virtù della Bestia sia in definitiva proprio Belinda che, richiedendo per sé soltanto una rosa, aveva in definitiva dimostrato più di ogni altro di saper superare le apparenze e di andare diretta alla realtà delle cose, privilegiando la semplicità, la spontaneità e la purezza d’animo. Grazie a tutto ciò riesce a liberare la “Bestia” dal maleficio al quale era stato condannato ed a fargli assumere nuovamente le sue primitive sembianze di Principe, con il quale poi si sposerà.

 

NOTE
35. Genova – Viterbo 1276. Il suo vero nome era Ottobono Fieschi. Pur non avendo ricevuto ordinazione sacerdotale, fu nominato cardinale dallo zio Innocenzo li ‘e successe al pontefice Innocenzo V l’I 1 Luglio 1276. La sua durata al soglio fu brevissima. (11 Luglio-18 Agosto). Dante, nella Divina Commedia, lo pone nel Purgatorio tra gli avari (canto XI): tale intatti lui si riteneva, prima di essere prescelto come pontefice, e la SUB breve permanenza come successore di Pietro non gli era stata sufficiente ad espiare completamente questo suo peccato.
36. Divinità di origine fenicia, il cui mito si diffuse successivamente presso i Greci ed i Romani. Era raffigurato come un giovane di aspetto bellissimo e vitale nella stagione primaverile, per poi morire a causa dell’eccessiva calura estiva e rinascere successivamente grazie alla dea Astiarle, la quale scendeva personalmente negli inferi per andarlo a strappare dalla morte. Questo mito – sia pure con qualche modifica – fu successivamente ripreso in quello di Proserpiira. alla quale era concesso di lasciare gli inferi solo nella bella stagione, per poi ritornarvi durante l’autunno e l’inverno.
37. Tra questi ricordiamo Eraclito, vissuto tra il VI ed il V secolo a.C. e, soprattutto, il suo contemporaneo Empedocle.
38. Chàtillon-sur-Mamc (Francia) 1040 -Roma 1099. Al secolo Ottone di Lagery. Prima di essere nominato papa, era stato monaco nell’abbazia di Climy. riletto pontefice nel 1088 a Terracina, (cittadina del sud del Lazio) mentre a Roma c’era l’antipapa Clemente III che aveva l’appoggio dell’imperatore Enrico II’.
39. Da pontefice si oppose strenuamente a costui che si era appropriato di alcune terre appartenenti alla contessa Matilde. Dopo l’umiliazione che il monarca subì a Canossa ed il suo successivo ritiro dall’Italia, il pontefice tornò a Roma, liberò la città dall’anti¬papa e scomunicò Clemente III ed Enrico IV.
Il 18 novembre 1095 Urbano II indisse a Clermont un concilio nel quale propose l’idea di organizzare la prima crociata per strappare la città di Gerusalemme ai musulmani. La morte lo colse prima di venire a conoscenza dell’avvenuta liberazione della città.
39. 1310 – 1370. Il suo vero nome Guglielmo di Grimoarcl. Nominato pontefice nel 1362. Proclamato beato, viene ricordato il 19 Dicembre.
40. Senigallia 1792 – Roma 1878. Suo vero nome Giovanni Maria Mastai Ferretti. Ordinato sacerdote nel 1819. governò la Santa Sede dal 1846 al 1878. Nel “Sillabo” condannò quelli che defini gli errori del secolo e. forse in un estremo quanto invano tentativo di instaurare di nuovo l’autorità del Papa, convocò nel 1869 un concilio vati¬cano in cui veniva ribadita l’infallibilità di quanto veniva proclamato dalla Cattedra di Pietro. L’8 Dicembre 1854 proclamò il Dogma dell’Immacolata Concezione.
41. Appellativo di  Sheikh Abdul Qadir Jailani, importante saggio e ‘maestro’ del Sufismo, da cui il simbolo a forma di rosa.
42. Desio (MI) 1857 – Città del Vaticano 1939. Il suo vero nome Ambrogio Damiani Achille Ratti. Resse il soglio pontificio dal 1922. Ordinato sacerdote nel 1879. iniziò il suo pontificato impartendo dalla loggia di san Pietro la benedizione “Urbi et Orbi” [tradizione tuttora seguita dai suoi successori], manifestando così la sua grande aspira¬zione di riallacciare i rapporti tra la Chiesa e lo Stato Italiano, che erano stati troncati nel 1870 in occasione dell’annessione con la forza dello Stato della Chiesa al regno d’Italia. Questo suo desiderio si realizzò l’11 Febbraio 1922. giorno in cui il Papa ed il Presidente del Consiglio Benito Mussolini stipularono i “Patti Lateranensi”. che preve¬devano – fra l’altro – il reciproco riconoscimento dei due Stati. Mori poco tempo dopo aver raggiunto questo storico accordo.
43. Cettigne (Montenegro) 1873 – Montpellier (Francia) 1952. Sposò nel 1896 l’allo¬ri Principe di Napoli Vittorio Emanuele di Savoia, salito successivamente al trono d’Italia come Vittorio Emanuele III, e lo seguì in esilio in Egitto quando egli, nel 1946. abdicò in favore del figlio UmbertoII.
44. 673 – 735. Monaco benedettino inglese e Dottore della Chiesa. Tra le sue opere, scritte tutte in latino, ricordiamo la “Historia Ecclesiastica”.
45. Per ogni Pontefice, la prima data si riferisce all’inizio del suo pontificato, e la seconda alla sua morte.
46. Nato presumibilmente nel 571e morto nel 632. E’ il profeta della religione islamica e ne tu il fondatore.
47. Viene citata nel “Corano”, il libro sacro per gli islamici.
48. Or, ode “Il rapido carro ed i destrieri del Sole”‘.
49. Poetessa greca dell’isola di Lesbo, vissuta tra il VII ed il VI secolo a.C. Molto colta e raffinata, amava circondarsi di cose e di creature eleganti e belle; tra queste ultime, principalmente le ragazze che era solita accogliere presso di sé. Scrisse molti carmi lirici, impregnati sovente di malinconia.
50. Cfr. ode “L’amica lontana”, nella quale la luna ha talvolta le dita di rosa; talvolta in quanto solo nel plenilunio il sorgere del nostro satellite coincide con il tramonto del sole.
51. Lirico greco, pressoché contemporaneo di Saffo, ed anclic lui nativo dell’isola di Lesbo.
52. Poeta lirico dell’antica Grecia, vissuto nella seconda metà del VI secolo a.C. Cfr. ode “Tra le rose fiorite”.
53. Poeta greco nato a Siracusa verso il 310 a.C. e morto intorno al 250 a.C. Di lui. ci è giunta una raccolta di Idilli. Cfr. ode “Per tue. sei color del miele”.
54. Poeta alessandrino, vissuto tra il IV ed il III secolo a.C. nativo di Samo. Ci sono pervenuti circa 50 epigrammi, raccolti ne “L’Antologia Palatina”.
55. Cfr. ode “La ghirlandetta gli sfuggiva dal capo”.
56. Cfr. “Xel tempio di Cipride”, “La cosa più bella”. “L’amica lontana”.
57. Dea della bellezza. Secondo la leggenda il dio Crono scagliò nel mare i genitali che aveva reciso a suo padre Urano. Dalla schiuma del mare emerse Afrodite la quale, cavalcando una conchiglia marina, approdò all’isola di Citerà (dal cui nome deriva citeride. un appellativo della dea). Si recò successivamente nell’isola di Cipro e, per questa ragione, tu anche chiamata Cipride.
58. Per gli antichi Greci rappresentava il Sole, che era da loro considerato come una divinità.
59. Nella mitologia greca erano le divine ispiratrici dei poeti e. più genericamente, di tutti gli artisti. Erano in tutto nove, ognuna delle quali aveva il compito di sovrintende¬re quella torma di arte a lei dedicata: Tersicore (la danza). Calliope (la poesia epica). Urania (l’astronomia). Erato (la poesia amorosa). Taiia (la lirica corale). Poìinnia (la pantomima). Melpomene (la tragedia), Clio (la storia) ed Euterpe (la poesia elegiaca). Si credeva che la loro residenza fosse il Monte Elicone, nella regione greca della Beozia.
60. Burdigala (Francia) l’attuale Bordeaux 310 d.C. – verso il 398.
Poeta e politico latino. Ricoprì diversi incarichi pubblici. Fu tra l’altro pretetto di: Gallia, Africa, Italia e Illiria. Terminò la sua carriera politica da console alla morte dell’imperatore Graziano, del quale fu anni prima maestro di retorica. Tra le sue opere ricordiamo la Alosella (poemetto scritto sulla falsariga delle Georgiche di Virgilio), alcune epistole, idilli ed un certo numero di epigrammi {Commentano professorum Burdigalensium e Parentalia).
61. Numero 14, verso 40,
62. Scrittore latino, originario dell’Africa (Madaura 125 d.C. – Cartagine verso il 180 d.C). Scrittore esperto di riti esoterici e, soprattutto, di quello al dio Mitra, come appare chiaramente in tutte le sue opere, tra le quali ricordiamo: “L’Asino d’oro”, “De Magia”. “Le Metamorfosi”.
63. Una delle più celebri divinità femminili dell’antico Egitto. Veniva considerata pro¬tettrice dei naviganti e per la sua umanità ed il suo amore coniugale, fu particolarmen¬te amata dalle spose e dalle madri. Il suo culto trovò una notevole diffusione anche nell’età ellenistica e nell’Impero Romano.
64. Lingua ancora parlata dai discendenti degli ebrei che furono espulsi dalla Germania nel XVI secolo.
65. Teologo riformatore tedesco (1483-1546). Le tesi religiose, divulgate in quasi tutte le sue opere, furono successivamente alla base del credo protestante, detto appunto luterano.
66. Cfr. “Miti e magie delle erbe” di Maria Immacolata Macioti – Newton Compton Editori – Ottobre 1993.
67. Charles Perrault. (1628-1703). Famoso scrittore di tavole – scritte nel 1697 – che traevano spunto per lo più da racconti popolari. Tra queste ricordiamo Barbablù. La Bella addormentata nel bosco. Cenerentola, Le fate, Il gatto con gli stivati. Pollicino e Cappuccetto Rosso.
68. Jakob (1785-1863) e Wilhelm (1786-1859), entrambi nati ad Hanau e morti a Berlino. Devono la loro celebrità presso il grande pubblico per le numerose fiabe com¬poste, tra queste ricordiamo: Biancaneve, Rosaspina, Pelle d’asino. L’uomo di Ferro, La sposa bianca e la sposa nera. L’uccello d’oro, Fratellino e sorellina. Le tre piume ed Hansel e Gretel. Rivestono nella cultura e nella filologia tedesca un’importanza ancor maggiore per lo studio che hanno intrapreso sulla letteratura medioevale del loro paese e per avere iniziato lo studio della filologia romantica. Altro loro fondamentale lavoro è stata la stesura del Vocabolario tedesco, iniziata nel 1838 e la cui prima edi¬zione tu pubblicata circa quindici anni dopo. Alla morte dei due fratelli l’intera opera fu proseguita da altri studiosi, per vedere infine la luce solo nel 1961.